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08 giugno 2013

Violenza di Stato

Mentre scrivo c'è il televisore acceso e sento la voce di Ilaria Cucchi che racconta a Enrico Mentana la tragedia e l'ingiustia di suo fratello Stefano, ucciso di botte e di abbandono. Dopo la sentenza che cerca di seppellirlo tra ingiurie e falsità La7 sta trasmettendo un film-documentario di Fabrizio Cartolano.




Stefano Cucchi è diventato un simbolo, di lui s'è parlato molto, e sembrava impossibile ogni insabbiamento. Cucchi è un simbolo di ordinaria tortura a cui vengono sottoposti i poveri cristi che finiscono in cella per motivi che il pregiudizio qualunquista considera abietti. Stefano Cucchi era solo un ragazzo fragile che fumava qualche spinello. Gli stessi spinelli che ieri a Piazza Montecitorio alcuni malati reclamavano come diritto di cura. Cure proibite. Non so se il fumo di marijuana espone a rischi maggiori del viaggiare in automobile, attraversare una strada o andare in giro in bicicletta. Per i vari giovannardi è un reato gravissimo, imperdonabile che annulla ogni dignità del drogato, cancella ogni pietà, e la vita persa di quel giovane è un nulla. Una pratica da archiviare. La vita di Stefano Cucchi è stata annullata nel momento dell'arresto, come quella di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Aldo Bianzino ed altri. La loro morte è diventata solo un fastidio burocratico.

Le istituzioni, fondate e pagate per difendere i cittadini, si prendono la libertà di ammazzarli con violenza e disprezzo. Mi piacerebbe dire che gli assassini sono delinquenti erroneamente capitati dentro gli apparati dello Stato, ma questo non si può più dire se lo Stato, anche quello rappresentato dai medici, dai periti e dai giudici, si associa ai malfattori nonostante le prove evidenti della violenza, degli abusi, delle menzogne.

Il padre di Stefano (che non è drogato) racconta di come gli sia stato rifiutato di vedere il figlio, di parlare con i medici, di avere notizie. Stefano Cucchi prima di morire era già un 'desaparesido'. Era scomparso dentro l'oscuro pozzo di una repubblica che rifiuta da oltre tredici anni di inserire nel codice penale il reato di tortura e rifiuta perfino di dare un numero agli agenti per poter identificare le responsabilità degli abusi.

L'abbiamo già visto troppe volte. Abbiamo già ascoltato questa storia. Stiamo ancora aspettando, dopo dodici anni, la sentenza per le torture della caserma Bolzaneto. La vicenda della scuola Diaz è diventata un film. La 'macelleria messicana' del 2001 è stata testimoniata dagli stessi agenti che vi presero parte. Ma la violenza degli agenti continua ad essere troppo frequente, contro studenti, contro lavoratori, contro detenuti, contro donne, contro persone che manifestano per i loro sacrosanti diritti. Una violenza spesso assurda, immotivata. Ieri abbiamo visto un sindaco con la testa coperta di sangue. Nei giorni scorsi abbiamo visto la violenza contro gli studenti di Bologna, di Napoli, di Milano. Conosciamo la violenza usata contro i valsusini, contro i terremotati, contro le mamme siciliane che si oppongono al Muos.

Se lo Stato non riesce a condannare questo modo di intendere lo Stato la democrazia è morta. Se lo Stato non espelle dal proprio apparato gli assassini e gli stupratori, i medici sadici, i periti corrotti e i magistrati collusi la defascistizzazione non ci sarà mai.




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